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Biologico sotto inchiesta, una riflessione


Negli ultimi tempi ci è capitato di leggere alcuni articoli che demonizzano il biologico. In particolare, leggendo l'articolo di Dario Bressanini comparso su Repubblica on-line nella sezione Scienza in Cucina, Bio, nutre di più? ci sono sorte alcune riflessioni.

L'articolo riporta un capitolo del libro Pane e Bugie scritto dallo stesso Bressanini ed edito da Chiarelettere. In questo si citano studi scientifici che mirano a stabilire se gli alimenti coltivati con sistemi biologici siano più nutrienti di quelli tradizionali. I risultati delle varie ricerche sono contrastanti ma le conclusioni che ne trae Bressanini sono molto critiche nei confronti dei prodotti biologici, adducendo varie e valide argomentazioni (scientifiche ed economiche). Vi rimandiamo alla lettura intera dell'articolo perché molto interessante, seppur non sempre, a nostro modo di vedere,  condivisibile.

Questo il paragrafo che ci ha spinto ad andare oltre:

 


...Che i contenuti di azoto siano diversi (tra il prodotto biologico e il convenzionale, ndr) non stupisce troppo, visto che si tratta di un elemento presente nei fertilizzanti. Non potendo utilizzare prodotti di sintesi, l'agricoltura biologica è meno efficiente nel fornire alle piante l'azoto indispensabile per la costruzione delle proteine. È noto ad esempio che il frumento coltivato biologicamente soffra di un minore contenuto di proteine del glutine, a causa della minore concimazione, e questo può essere un problema per la panificazione. D'altra parte, la maggiore acidità dei prodotti biologici può essere una buona notizia dal punto di vista organolettico, perché può significare alimenti più gustosi.




Naturalmente noi non siamo nutrizionisti, svilupperemo quindi la nostra teoria in base al dato di fatto che abbiamo appena citato.  Per questo vorrei porre una domanda agli esperti: il frumento coltivato con metodo biologico che contiene quindi meno glutine, potrebbe contribuire all'abbassamento del livello di diffusione dell'intolleranza al glutine tra la popolazione?

E già che ci siamo allarghiamo il campo: le malattie che si sono enormemente diffuse nell'ultimo secolo,  potrebbero derivare dal consumo di cibi prodotti da un'agricoltura che si è allontanata dalla sua naturalità, dedicandosi invece ad una “industrializzazione agricola” sempre più dedita all'uso della chimica?




Siamo arrivati alla formulazione di queste domande, alla quale chiediamo ai nostri lettori, se non una risposta, un commento, anche a seguito della lettura di questo interessante brano trovato sul sito http://emiliaromagna.celiachia.it/storia_naturale_celiachia.asp che spiega in parole molto comprensibili, in che modo la celiachia si sia diffusa in epoca moderna e come venga considerata la malattia del futuro.

Ne consigliamo la lettura perché fa comprendere come alcune pratiche, ormai consolidate negli ultimi decenni, abbiano contribuito se non scatenato la diffusione della celiachia. Seguiranno le nostre conclusioni.

 

Cenni di storia naturale della celiachia Prof. GIOVANNI BALLARINI - Università degli Studi di Parma




(...) L'agricoltura ha sviluppato la coltivazione di cereali, anche di quelli definiti tossici ed allergizzanti, che da un punto di vista dell'evoluzione non sono da ritenere adatti alla specie umana. (omissis) Le granaglie primitive (miglio, panico segale ed altri i cereali minori oggi abbandonati, ma anche l'orzo ed il farro primitivi) avevano un limitato contenuto in glutine. La selezione di frumento ricco di glutine e soprattutto del grano duro, è relativamente recente.

(omissis) I grani erano mangiati soprattutto dopo essere stati tostati o fermentati per la produzione della birra, del pane o di puls lungamente bollite. Nella birra inoltre manca la quota proteica (glutine). Per la panificazione si usava il lievito acido nel quale sono presenti lieviti e lattobacilli. Questa lievitazione, basata sulla protratta azione dell'acido lattico, un buon denaturante delle proteine, inattiva le attività allergeniche e forse tossiche delle prolammine del glutine. Quando il pane era utilizzato senza lievito (pane azzimo) la cottura era spinta ed eseguita su forme sottili come ancor oggi la pizza, gallette e la carta da musica sarda: in questo modo anche la parte interna é soggetta a cottura.

Le puls, da cui il nostro termine di polenta, erano minestroni con granaglie di cereali e di leguminose sottoposte a lunga bollitura.

I trattamenti ora indicati, in modo particolare quando erano associati ed applicati a cereali con limitate quantità di glutine, attenuavano se non annullavano le attività allergeniche del glutine.


Oggi questi trattamenti sono stati sostituiti da cereali ricchi di glutine ed in particolare dal grano duro e si è diffusa l'abitudine del “mangiare crudo”, nel senso di poco cotto (pane scarsamente lievitato e senza lievito acido, pasta al dente).

La cucina, che si era sviluppata assieme all'agricoltura, era intervenuta suoi cereali con fermentazioni e trattamenti termici capaci di renderli tollerabili alla specie umana. La nuova cucina del poco cotto e delle fermentazioni blande e non acide, in individui geneticamente predisposti, provoca disturbi d'intolleranza e soprattutto d'allergia, il più importante dei quali è la celiachia.

Da un punto di vista evoluzionista, molto importante è la recente diffusione delle allergie e, tra queste, quelle intestinali, in conseguenza dell'eliminazione dei parassiti intestinali. Il sistema immunitario, privato dei suoi “bersagli naturali”, verso i quali si era sviluppato tutto il processo della selezione naturale, i parassiti, in assenza di questi si dirige verso antigeni ed allergeni, quali le proteine di vegetal,i verso i quali no vi era stato un adattamento selettivo: i cereali.

La nostra specie aveva sviluppato un naturale, lungo periodo d'allattamento (fino ai quattro anni d'età) e nei bambini i cereali entravano nell'alimentazione umana solo quando l'intestino era completamente sviluppato e maturo.

(...) La celiachia e le sue complicanze hanno oggi un'interpretazione evoluzionista che rivaluta la cucina tradizionale, nata prima od assieme all'agricoltura.
.




Quindi, a nostro parere, il prodotto biologico (e non stiamo parlando solo del prodotto “certificato” ma di quello prodotto senza interventi chimici e nel rispetto del naturale ciclo vita della terra) e un ritorno alla naturalità della coltivazione e del trattamento dei prodotti della terra, potrebbero essere la chiave per aprire le porte ad una nuova era, nella quale vedere la diminuzione di patologie legate all'alimentazione (intolleranze, obesità, allergie), con tutti i benefici, non solo individuali ma sociali, che questo comporterebbe.

Non stiamo sostenendo che “si stava meglio quando si stava peggio”, riteniamo infatti che sia indispensabile la ricerca scientifica e le innovazioni tecnologiche, ma riteniamo che i risultati di questa ricerca scientifica dovrebbero essere usati a favore della nostra salute e non dei profitti della ”industria agricola” e del suo indotto.



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